Non so cosa sono

Guardiamo questi oggetti, appena usciti dalla nostra fabbrica. Sono di tutti i tipi: una lampada, un equilibrista, un violino, un vaso, scarpe con macchie di colore, una statuina, una tazza, un cuscino, fiori di plastica, una scatola, una borsa, una pianta finta dipinta, un Pinocchietto, un picchio con la molla, una catapulta, una cornice multicolorata…
E poi ci sono i relativi materiali: carta, plastica, vetro, legno, ceramica, porcellana, vegetali, vimini, lana, cartone, stoffa riciclata…
Sono cose disposte in ordine casuale, oggetti fra loro vicini, ma non uniti da una vera correlazione. Partecipano solitari all’organizzazione informale di presenze e funzioni diverse.
Considerati come un’unità e lasciati nelle loro posizioni, formano un’immagine ricca di fascino. Costituiscono una specie di museo, un’antologia, una collezione forse ragionata.
Sono delle presenze.
Come possono convivere bene cose così profondamente diverse? Alcune sono belle, altre sembrano brutte, altre estetiche o funzionali o inutili… Oppure stupide e banali. Altre sono strumenti perfetti…
Messi, visti e usati in parallelo, tuttavia, questi oggetti costituiscono il micro-sistema di una vita e se ci si sposta di dieci metri c’è un altro sistema ancora e poi un altro e poi mille e mille che si espandono in tutte le direzioni: sistemi con un senso e sistemi con un altro senso. Sistemi ricchi e sistemi poveri.
Il tutto dà vita a un insieme spaziale destrutturato, composto da sistemi antropologici particolari. Il tutto è l’insieme dei palcoscenici infiniti delle nostre menti e dei nostri corpi: sono il design individuale come si configura capillarmente davanti agli occhi di ognuno di noi.